Recensore Notturno
"Curtiz": il bio-pic su Casablanca dal 25 marzo su Netflix
Aggiornamento: 27 mar 2021

<<Ma nessun paese dovrebbe cambiare il carattere di un uomo. Giusto?>>
Così si potrebbe riassumere "Curtiz". Il film non è solo un bio-pic sul regista Michael Curtiz e la produzione di "Casablanca". Non è nemmeno un film sulla seconda guerra mondiale. Curtiz è la fotografia di una Hollywood, di una America, che pur di imporre la propria immagine di potenza mondiale e di mostrare il proprio orgoglio patriottico, interferisce con l'industria cinematografica condizionandone la scelta degli attori, censurando e modificando radicalmente intere sceneggiature, causando ritardi nelle produzioni e aumentandone i costi, spesso a discapito del risultato.
In questo film si racconta proprio questo: la lotta tra il governo americano ed un regista di origini ungheresi al quale venne imposto di girare un film di "speranza e coraggio", che spingesse i giovani americani ad andare in guerra in Europa per fermare il dominio di Hitler. A Michael Curtiz venne chiesto di ridicolizzare un personaggio tedesco (Strasser) e tirarne fuori il lato nazista, di non mostrare aerei in quanto rappresentazione della paura stessa ed altre cose assurde alle quali il regista, grazie anche alla sua forte personalità, non cedette.
La produzione del film fu molto travagliata sia per le continue interferenze artistiche sia per lo stress emotivo provocatogli dai tentativi falliti di salvare i suoi parenti, tra cui la sorella, dal dominio nazista in Europa. Anche l'improvvisa riapparizione della figlia, dopo 19 anni, contribuì ad aggiungere ulteriore pressione su Curtiz, ma fu anche grazie al loro rapporto travagliato che riuscì a scegliere un finale degno del suo "Casablanca".
Un film impeccabile
La fotografia in bianco e nero è sublime ed è incredibile come non sembri un film di recente produzione, ma degli anni '40.
La regia è magistrale, nulla è lasciato al caso: gli eleganti piani sequenza, i primi piani, la sfocatura su Ingrid Bergman ed Humphrey Bogart, ogni inquadratura racconta qualcosa. Il giovane regista ungherese Tamas Yvan Topolanszky, classe 1987, mostra tutto il suo talento (sia come regista sia come sceneggiatore) e dà lezione anche ai registi più acclamati del momento.
Anche la recitazione è di alto livello. Ferenc Lengyel (Michael Curtiz) interpreta il suo personaggio egregiamente, facendo dimenticare che sia un attore e non Curtiz in persona quello sullo schermo. Come lui anche il resto del cast non è da meno a conferma di ciò che diceva Stanislavskij:
<<Non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori>>
Ieri come oggi
La situazione che viene rappresentata nel 1942 non è mai cambiata. Hollywood è ancora così, gli Stati Uniti sono ancora così. Oggi forse più di prima.
Le produzioni cinematografiche penalizzano coloro che si espongono contrariamente a come la pensa il presidente di turno, sconvolgono personaggi facendoli diventare di differente orientamento sessuale, cambiandone il sesso o il paese d'origine, e agiscono sempre più politicamente nelle proprie scelte artistiche e non.
Queste interferenze sono spesso il motivo per cui la maggior parte dei film di oggi sono di bassa qualità. Non ci sono più gli attori di una volta, non ci sono più le storie di una volta.
Anche per questo registi come Martin Scorsese o Brian De Palma girano sempre meno film e ammettono di non essere intenzionati a girarne altri.
Un nuovo standard qualitativo
Quello che ci si chiede è se un prodotto così si sarebbe mai potuto realizzare negli studi di Hollywood e se, film come questi, possano un giorno essere il nuovo standard qualitativo della settima arte a discapito dell'industria cinematografica, statunitense e non, in continua decadenza.
VOTO 8/10